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Il 1610 rappresenta un anno decisivo per la rivoluzione culturale europea: quest'anno, infatti, vedrà la pubblicazione del “Sidereus Nuncius”. Galileo, padre della scienza moderna, fu il primo a puntare sulla Luna un telescopio capace di dare immagini nitide, ed evidenziare delle ombre, che egli interpretò correttamente come asperità della superficie del satellite. Egli distinse correttamente tra irregolarità concave e convesse a seconda delle ombreggiature che esse presentavano rispetto alla provenienza della luce del Sole, mostrando la capacità, propria del pittore, di vedere nelle ombre la solidità delle forme, (secondo Panofsky, essa gli derivò proprio dall'essere un pittore dilettante). Per questo Galileo trovò opportuno confrontarsi con un uomo che fece della pittura il suo mestiere, che fu un grande cultore della prospettiva, ma soprattutto che fu suo grande amico: Ludovico Cigoli.
Il periodo che va dalla metà dell'XI a tutto il XII secolo è detto “romanico”. Il termine è stato coniato dagli studiosi francesi del secolo XIX secolo De Gerville e De Caumont, che intendevano istituire un parallelo fra l'arte di questi secoli e le lingue neolatine o “romanze”, eredi della tradizione romana. In realtà, il linguaggio figurativo romanico, a differenza di quello linguistico, non abbraccia solo i territori unificati dall'impero romano. Inoltre, è bene ricordare che la lingua romanza non trae la sua origine esclusivamente dal latino colto, ma anche da quello parlato, popolare, con l'apporto di varie componenti estranee. Lo stesso processo investirà la sensibilità figurativa di quest'epoca, passando dall'astrattismo alla concretezza; non la concretezza romana, espressione della potenza imperiale, ma una concretezza popolare. Sant'Agostino, nel suo De civitate Dei, scriverà “anche la Città celeste si vale della pace terrena e delle cose che appartengono alla vita mortale”, e ancora, “senza dubbio la vita della santa Città è vita sociale”.
La scultura, - che allestiva portali, capitelli, pulpiti, pontili -, era finalizzata a interpretare le Sacre scritture e illustrare alcune scene tratte da esse e fornire un supplemento visivo alle parole pronunciate dal vescovo durante la messa. Questi “poemi visivi” si configuravano come vere e proprie Bibliae pauperum, ovvero per coloro che non erano in grado di decifrare i testi sacri, lavoro riservato a pochi dotti.
Spesso si tratta di figurazioni escatologiche, come questa raffigurazione del Giudizio universale che si trova nel Portale dei Prìncipi della Cattedrale di Bamberga (1235 ca).
La lunetta del portale ospita il tipo iconografico del Cristo in Maestà, poiché seduto in trono, e del Cristo sofferente, in quanto mostra le pighe delle mani e del costato. Il Cristo è, come vuole la tradizione, posto in una mandorla formata dalle lunghe ali degli angeli assisi al suo fianco. Inginocchiati ai piedi del Cristo vi sono Giovanni e Maria.
Alla destra di Cristo si trova il gruppo dei salvati che, accompagnati da un angelo si dirigono verso il centro della scena, tra questi, tre figure di innocenti mostrano con le loro eloquenti espressioni e le mani giunte la loro contentezza. Alla nostra destra si trova invece il gruppo dei dannati, che, con moto divergente, vengono allontanati dal centro della scena. Tra questi personaggi si distinguono un re, un esuraio, un papa e un vescono, tutti trascinati dal diavolo.
I volti rivelano i sentimenti dei personaggi in quella che è una delle prime rappresentazioni dell'interiorità nell'arte europea, gioia e disperazione sono presenti in modo quasi caricaturale in volti che appaiono decisamente distorti. Lo spazio scenico è organizzato ponendo i personaggi su diversi piani di profondità: chi è posto in secondo piano fa capolino sulla scena in modo discreto o irruente come nel caso del dannato che pare quasi desideroso di mettersi in mostra da modo da farsi ammirare dall'osservatore.
Avete presente la sensazione di curiosità che scaturisce quando il nostro sguardo incontra delle parvenze familiari, alle quali però non riusciamo a conferire un nome, o di cui non riusciamo a ricordare la circostanza della conoscenza? Ecco, con le opere di Barbara Kruger accade lo stesso, anche se non le abbiamo mai viste prima.
Sempre più frequentemente i quotidiani ci propongono previsioni e analisi critiche riguardanti l'impatto delle azioni umane sul territorio. Recenti studi confermano che il processo di trasformazione dell'ambiente da parte dell'uomo sia antichissimo, ma che solo negli ultimi anni ha acquisito le sembianze di una vera e propria “minaccia” per il clima. Nonostante lo “stato di emergenza” dichiarato dai rappresentanti di vari Paesi, le tematiche ambientali non sono ancora parte viva di una sensibilità universale: la connivenza comune è sempre maggiore rispetto ai barlumi di indignazione che affiorano a intermittenza.
E' una sera di Giugno. Mentre Cagliari si staglia su un cielo dorato, mi insinuo tra le storiche vie anguste della zona “Castello”, fino a raggiungere la Galleria Siotto, dove sono esposte le opere visive di Angelo Liberati. In Galleria è presente l'Artista, un uomo magro dai folti capelli, che risponde al mio saluto con uno sguardo severo e indagatore. Solo dopo una lunga chiacchierata riesco a motivare quello sguardo penetrante con la capacità dell'Artista di saper guardare analizzando.
La mostra raccoglie le opere sotto il nome di “Stickers”, quasi a suggerirne la caratteristica più rilevante: le immagini che traspaiono dalla tela assomigliano a quei ricordi che si ripropongono in modo violento alla mente. Di fronte alle tele di Liberati, così come accade durante tali epifanie, è difficile rimanere indifferenti.
Tra le varie novità di fine Ottocento vi sono gli sviluppi di industrie relativamente “giovani”, come quella della chimica o come quella della metallurgia dedita alla produzione dell'acciaio. L'impiego dei prodotti (in ferrovie, utensili domestici, macchine industriali...) provocò trasformazioni così importanti da giustificare il termine “seconda rivoluzione industriale”.
La validità artistica di Costantino Nivola, (Orani, 1911; East Hampton, Stati Uniti 1988), è riconosciuta già nel 1937, quando raggiunge la posizione di direttore artistico della sezione grafica dell'Ufficio Pubblicità Olivetti, realizzando campagne pubblicitarie e allestimenti coniugando pittura e fotografia. È un periodo particolarmente intenso, che vedrà Nivola legato al gruppo di intellettuali di cui facevano parte Quasimodo, Sinigalli, e Alfonso Gatto. Questo equilibrio avrà una sorte effimera:
Il momento della nascita della fotografia, il 1839, ma soprattutto il suo utilizzo generalizzato negli anni a seguire, costituisce un fattore di crisi per la pittura, intesa come attività volta a soddisfare fini utilitaristici. La nascente attività fotografica, caratterizzata da minori tempi di produzione e di attesa, si prestava meglio ai ritratti, alle riprese paesaggistiche, e ai reportage. È da questo momento che la pittura diventa un'attività prettamente intellettuale e d'èlite; per questo motivo, alla fotografia spesso non viene riconosciuta la rispettabilità di un'attività propriamente artistica.
“Ogni abito racconta una storia: fatta a mano e ambientata in Sardegna”.
Forse con questa frase si può riassumere il significato intero del brand Vertice, che racchiude a pieno il concetto della manifattura artigianale italiana applicata all’abbigliamento.
Il progetto nasce con l’intento di poter realizzare delle collezioni di abbigliamento femminile che possano rispecchiare oltre che un design risultato di una ricerca tendenze, anche un’attenzione particolare alla realizzazione stessa degli abiti.
L’Informatica e i domini della conoscenza si sviluppano normalmente attraverso specializzazioni verticali. Per questo motivo nel settore informatico spesso si fatica ad affrontare tematiche multidisciplinari in maniera trasversale.
Chi progetta e sviluppa le tecnologie informatiche infatti tende a vedere la propria esperienza come dirompente e i domini confinanti come dipendenti dal proprio, motivo per cui le visioni trasversali/orizzontali sono rare, nonostante la loro potenzialità.
IL CRITICO COME ARTISTA
È stato affermato che "L'opera d'arte è fatta da due persone: artista e critico d'Arte".
Un'opera è per l'autore molte cose: esito e processo tecnico, significato psicologico, scelta estetica, intento comunicativo.
Altri strati di senso presenti nell'opera all'insaputa dello stesso autore sono scoperti in essa dal critico e per questo si scrisse sulla figura del "Critico come artista".
Si può essere ottimi curatori ed esperti d'arte, ma nello scriverne si rimane buoni recensori se non si ha uno sguardo capace di vedere oltre il visibile e integrare la rappresentazione con un apporto aggiuntivo.
Nessuno è realmente un critico senza uno sguardo che contempera l'osservazione, contemplazione e decifrazione oggettiva con la proiezione mentale soggettiva: purchè mai egotica e sempre pertinente.
Un critico deve saper vedere più di pubblico e artista, ma non più di quello che c'è nell'opera e che attende di essere totalmente espresso-commentato-spiegato con aderenza e plausibilità.
EPD
Di Angelica Gioelino (by Artecracy.eu)
«Mi sono alzato di buon’ora e ho visto gli operai arrivare al cantiere con un sole magnifico. Avresti provato piacere a vedere l’aspetto particolare di questo fiume di personaggi neri, grandi e piccoli, prima nella strada stretta dove non c’era che poco sole e poi nel cantiere (agosto 1877)… Gli operai di questa miniera sono generalmente emaciati e pallidi di febbre, hanno un aspetto affaticato e frusto, sono scuri di pelle e vecchi anzitempo, le donne sono deboli e appassite. Intorno alla miniera miserabili abitazioni di minatori, con qualche albero morto annerito e siepi di rovi, mucchi di concime e di cenere, montagne di carbone inutilizzabile (aprile ’79)… Gli operai delle miniere di carbone e i tessitori sono ancora una razza un po’ diversa da quella degli altri lavoratori e artigiani e io sento per loro una gran simpatia… L’uomo del fondo dell’abisso, de profundis, è il minatore, l’altro dall’aria assorta, quasi da sognatore, da sonnambulo, è il tessitore. Sono quasi due anni che io vivo con essi e ho imparato a conoscere abbastanza il loro carattere originale, soprattutto quello di minatori. E ogni giorno più io trovo qualcosa di commovente, e di struggente persino, in questi poveri e oscuri operai, i più reietti di tutti si può dire, i più disprezzati, che in genere, con immaginazione vivace ma falsa e ingiusta, ci rappresentiamo come una razza di malfattori e di banditi (agosto 1880)».
Vincent Van Gogh
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