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Mercoledì, 11 Dicembre 2019 09:40

Visibile e invisibile in Barbara Kruger

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Avete presente la sensazione di curiosità che scaturisce quando il nostro sguardo incontra delle parvenze familiari, alle quali però non riusciamo a conferire un nome, o di cui non riusciamo a ricordare la circostanza della conoscenza? Ecco, con le opere di Barbara Kruger accade lo stesso, anche se non le abbiamo mai viste prima.

Ciò è possibile perchè l'artista costruisce l'opera a partire dal nostro background visuale. Il nostro occhio deposita immagini nella mente in modo incessante e inconsapevole, e, dal momento in cui i mass-media hanno potenziato la nostra esperienza visiva, va saturandosi lo spazio d'attenzione verso ciò che si osserva. Per questo motivo, nella nostra esperienza quotidiana è sempre più sporadica l'attitudine ad un vedere partecipato, poichè comporterebbe il fermarsi e l'indugiare, azioni per lo più sconosciute al nostro occhio insistentemente assediato dalla produzione di immagini.

Barbara Kruger decide di decifrare la schizofrenica infosfera del visibile ristrutturando le immagini (tratte da film, fotografie o pubblicità) e, avvalendosi del supporto delle parole per denifire meglio il messaggio dell'opera, riesce a eliminare la distanza che intercorre tra immagine e osservatore.

Quando era ancora giovanissima aveva iniziato a collaborare con diverse riviste in qualità di graphic designer, e con gli anni ha tramutato le sue creazioni in vere e proprie opere d'arte, with the differences on the level of meaning, come lei stessa spiega in un'intervista. Infatti le sue opere, pur traendo elementi dalla cultura pop, si fanno portatrici di messaggi di critica sociale e di istanze femministe. Un esempio per tutti è l'opera Your body is a battleground. Questo slogan è stato incluso tra i poster della Women's March di Washington nel 1989, in occasione della manifestazione a favore del diritto d'aborto. Utilizzando la stessa opera come paradigma della sua produzione, la struttura della composizione ci suggerisce l'impatto visivo verso il quale tende la sua ricerca, e il motivo per cui risulti fortemente evocativa e memorabile.

Innanzitutto, gli elementi definitivi e caratteristici dei suoi lavori sono le parole, o, meglio, il messaggio, formulato in frasi concise e taglienti: il carattere formale di ogni enunciazione implica sempre la presenza di un ascoltatore, quindi, per definizione, ogni enunciazione si iscrive nel quadro della relazione con l'altro. Il coinvolgimento emotivo non scaturisce solo dal linguaggio; molto spesso, infatti, nei lavori in cui si raffigurano donne o uomini, i loro occhi non vengono mai coperti da scritte, perchè attraverso di essi si ricerca il contatto visivo con lo spettatore. Lei stessa afferma che, in una società basata sulle immagini e sulla commistione di narcisisimo e voyeurismo, l'occhio è il protagonista principe.

Sebbene l'arte della Kruger accolga elementi propri della quotidinianità, le sue opere non si possono ascrivere alla cosiddetta “Pop art”, poiché l'artista non si limita ad inserire il mondo autonomo dell'oggetto d'arte nell'ambito esplosivo della cultura di massa, ma stabilisce con quest'ultima una contestatio.

In We won't play nature to your culture (Non adatteremo la natura alla vostra cultura) le parole si stagliano sulla fotografia di una giovane donna con gli occhi coperti da foglie. In quest'immagine è interessante osservare la concorrenza delle opposizioni che direttamente e indirettamente vengono evocate. In effetti, come spiega Francesca Alfano Miglietti, l'arte funziona in termini di contrasto antagonistico solo quando crea un'improbabilità concreta, basata sulla realtà e non sulla finzione.

La prima parola che raggiunge l'occhio è nature, e infatti lo scenario in cui si colloca la giovane ragazza è del tutto naturale. Il soggetto principale è la donna, la quale occupa il posto centrale all'interno dell'immagine. Allora “nature” assume un'accezione diversa, e si riferisce all'essere donna lato sensu. Alla base del quadro però c'è una parola che si contrappone semanticamente a nature, che è culture. La natura spesso non trova il proprio riconoscimento nella cultura, e il giudizio di somiglianza tra oggetto e rappresentazione dell'oggetto (come tra segni visivi e referente) è legato a griglie culturali, o “tipi cognitivi” (Eco). La relazione di contrarietà voluta dalla Kruger in questa dialettica - finora insolubile - tra natura e cultura affronta con evidenza la questione delle donne, la cui espressione di identità deve tutt'oggi fare i conti con un'atavica cultura maschilista.

Proseguendo un'analisi linguistica del messaggio che Barbara Kruger vuole proporci, alcune teorie di sociolinguistica ci supportano nella comprensione dell'opera. Il linguista francese Benveniste fa una distinzione radicale tra il mondo impersonale, che è quello del racconto, caratterizzato dal pronome personale in terza persona e dall'impiego della forma verbale del preterito, e il mondo soggettivo, che è quello del dialogo, contraddistinto dal ruolo centrale del pronome Io\Tu e dall'impiego del tempo presente.

Diversamente da Benveniste, Rosenzweig distingue un terzo modo del discorso: quello del linguaggio corale, caratterizzato dalla preminenza del pronome di prima persona plurale “noi” e dall'impiego del tempo futuro: come nel caso di “We won't”. Si mette in primo piano una dimensione “performativa” del linguaggio, attraverso la quale chi parla assume su di sé la responsabilità della propria azione.

É una presa di posizione che collide con l'aspetto del soggetto a cui viene attribuita questa azione: non vi è nessun segnale dinamico nella postura della giovane donna, che è colta dormiente e con gli occhi coperti. Coprire gli occhi significa non avere contatto diretto con la realtà, vuole dire l'impossibilità di esistere nell'interezza delle proprie capacità. Questa contraddizione riassume perfettamente la condizione delle donne moderne, le quali devono confrontrarsi con un mondo che continua a precludere la parità di genere in tutti gli ambiti del vivere in comunità. Il difficile destino di chi vuole esistere secondo la propria “natura”, e superare i confini della sovrastruttura culturale, suscita inquietudine, proprio come avviene con le prime donne-manichino della Storia dell'arte: le muse inquietanti di De Chirico. Sono manichini che sembrano prendere vita. È questa vita adombrata e latente che genera inquietudine, proprio come la musa di Barbara Kruger, proprio come tante donne oggi.

Letto 5763 volte Ultima modifica il Sabato, 18 Gennaio 2020 11:12
Demetra Puddu

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